Ringrazio il dott. Michele Corcio, presidente della sezione UICI di Foggia, per avermi invitato al seminario e per avermi dato l’opportunità di esporre il punto di vista degli operatori scolastici in un momento di grande fermento nel mondo della scuola, soprattutto per quanto riguarda l’inclusive education.
Certamente le modificazioni normative in atto, e mi riferisco in particolare alla Direttiva del MIUR del 27/12/2012 e della Circolari Ministeriali attuative sui bisogni educativi speciali, hanno investito la scuola di nuove e più complesse responsabilità che richiedono particolare attenzione nella predisposizione degli interventi in direzione veramente inclusiva.
I relatori che mi hanno preceduto hanno fornito una ricchezza di stimoli di riflessione e di discussione relativamente al tema della mia relazione. In particolare sono emerse tutte quelle criticità e difficoltà che caratterizzano l’inclusione scolastica degli alunni disabili e di quelli visivi in particolare.
In questo mio intervento, con riferimento ciò che si vive quotidianamente nella realtà scolastica, illustrerò brevemente prima gli aspetti di criticità e i problemi connessi all’introduzione delle modificazioni normative e in seguito, prendendo lo spunto dall’esperienza realizzata a scuola con un alunno non vedente, possibili modi predisporre gli interventi per ridurre tali criticità e che consentono di guardare con maggiore fiducia al futuro.
Con la Direttiva Ministeriale sui bisogni educativi speciali noi operatori scolastici siamo stati chiamati ad affrontare in una modalità diversa l’integrazione degli alunni disabili, in una prospettiva che risente fortemente del modello diagnostico ICF dell’OMS.
Certamente tale modello, che considera la persona nella sua totalità in una prospettiva bio-psico-sociale, fondato sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, consente di individuare bisogni educativi speciali (che preferirei definirli “specifici” piuttosto che “speciali”) prescindendo da preclusive tipizzazioni. Gli operatori scolastici si trovano a gestire un difficile momento di transizione da una modalità operativa ad un’altra in direzione della personalizzazione degli interventi educativi e didattici.
In realtà nella Legge n. 53/2003 (Riforma Moratti) sono enunciati i principi di personalizzazione dei percorsi di studio nella prospettiva della “presa in carico” dell’alunno con bisogni educativi speciali da parte di ciascun docente curricolare e di tutto il team dei docenti coinvolti e non solo dall’insegnante di sostegno. Quindi con un approccio educativo non meramente clinico, ma volto ad individuare strategie e metodologie di intervento correlate alle esigenze educative “specifiche”, nella prospettiva di una scuola sempre più inclusiva e accogliente.
La scuola è chiamata a “farsi carico” dei bisogni di ciascuna persona coinvolta nei processi didattico-educativi, anche con strumenti personalizzati. Possiamo parlare allora di “didattica inclusiva in una scuola inclusiva” con sistemi di istruzione flessibili in risposta alle diverse e spesso complesse esigenze dei singoli.
Tuttavia il vissuto degli operatori scolastici è quello di chi vede continuamente travasare nella scuola provvedimenti normativi che, se pur clinicamente e pedagogicamente rilevanti, danno l’idea di essere un po’ estemporanei e/o dettati da pseudo necessità contingenti e non si caratterizzano per sistematicità. Questi aspetti sono stati evidenziati anche dai relatori che mi hanno preceduto.
Pertanto, si auspica che vengano emanate al più presto le linee guida relative alla diagnosi funzionale e al profilo dinamico funzionale secondo il modello diagnostico ICF dell’OMS, le quali sono in via di emanazione, come ci ha comunicato nel pomeriggio il dirigente del MIUR, dott. Ciambrone, in modo che le Unità Operative di Integrazione Scolastica e gli operatori scolastici possano veramente lavorare in direzione di un scuola inclusiva.
Mi permetto di sottolineare, in qualità di dirigente scolastico, il grave problema della formazione del personale scolastico, in particolare dei docenti di sostegno. Nella mia lunga carriera professionale, di docente in vari segmenti dell’istruzione prima e di dirigente scolastico ora, raramente ho incontrato docenti di sostegno motivati e professionalmente preparati. Tale impreparazione risulta maggiormente evidente proprio in presenza di alunni con disabilità visiva.
Certo, è fondamentale il ruolo del dirigente scolastico che con il suo lavoro deve indirizzare, stimolare, predisporre gli interventi di contesto per accogliere e includere qualsiasi tipo di disabilità. Ma il problema della formazione dei docenti riveste una importanza fondamentale e, personalmente. ritengo che il nocciolo della questione sia a monte del sistema di formazione dei docenti di sostegno, ma anche di quelli curricolari. Anche questo aspetto è stato ampiamente affrontato nei precedenti interventi.
Come dirigente scolastico mi sono sempre impegnato a stimolare i docenti ad aggiornarsi e alla formazione specifica, soprattutto in presenza di alunni con disabilità. Però, uno dei limiti è costituito proprio dalle norme contrattuali che non prevedono l’obbligo di aggiornamento da parte dei docenti. Tale limite può essere superato creando le condizioni di motivazione e facendo leva sulla “diversità come risorsa”, non solo per la singola classe ma per tutta la comunità scolastica.
Altre criticità sono rappresentate dalla carenza di risorse finanziarie e dalla mancata assegnazione di docenti sostegno così come prevista dalla diagnosi funzionale.
Per quanto riguarda i finanziamenti sappiamo tutti che la crisi economica che stiamo vivendo ha colpito anche il mondo della scuola con una drastica riduzione di quei fondi che vengono destinati per la formazione del personale, per l’acquisto di sussidi e ausili specifici e per l’arricchimento dell’offerta formativa. Si aggiunga che un tempo i Centri Territoriali di Supporto (le cosiddette “scuole polo per l’handicap”) davano la possibilità di prendere in comodato d’uso ausili, sussidi e strumenti tecnologici specifici, oltre a finanziare specifiche progettualità di singole scuole e proporre attività formative specifiche, in pratica non esercitano più alcuna funzione da un paio di anni, almeno nella nostra realtà territoriale. In realtà dovrebbero funzionare secondo quanto previsto dalla Direttiva Ministeriale sui BES e successive Circolari Ministeriali, ma in provincia di Foggia ad oggi non si riesce ancora a capire se esiste un CTS.
Per quanto riguarda gli organici di sostegno il MIUR assegna, per gli effetti di quanto previsto dalle varie leggi “finanziarie”, un rapporto medio di docenti 1:2 a ciascuna istituzione scolastica. Poi all’interno del Gruppo di Lavoro per l’Inclusione si distribuiscono le risorse professionali in relazione alle necessità degli alunni, cercando di integrarle con quelle previste dalla Legge n. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) nei Piani di Zona. Ciò rappresenta un grosso limite, soprattutto quando si è in presenza di disabilità come quella visiva, in quanto non sempre si riesce a garantire il rapporto 1:1 anche in presenza di diagnosi funzionali di gravità e di certificazione Legge n. 104/92 art. 3 comma 3. Per cui i genitori si trovano a dover affrontare anche il problema del ricorso al TAR regionale e ad aspettare la relativa sentenza. Accade che gli stessi inoltrino ricorso a settembre per avere poi la sentenza favorevole a febbraio, per cui si hanno tutta una serie di ripercussioni negative. Ormai questa modalità si è cronicizzata, in maniera “kafkiana” direi, in quanto risulta ovvio l’accoglimento del ricorso e la relativa sentenza favorevole, anche perché c’è stata nel 2010 una sentenza del Consiglio di Stato. Non si comprende perchè ci si ostina ad operare nell’ottica del risparmio ma spendendo di più e soprattutto a danno degli alunni disabili e non solo. Dal momento che viene notificato l’esito favorevole del ricorso alle scuole, i dirigenti possono nominare per le restanti ore fino all’occorrenza del rapporto 1:1, così come previsto dalla diagnosi funzionale. Tuttavia succede questo: a febbraio sono ormai esaurite tutte le graduatorie dei docenti di sostegno e bisogna attingere dalle graduatorie comuni, con la conseguenza che spesso arrivano supplenti che non hanno idea del lavoro che si sta già svolgendo e, ovviamente, tutto questo incide sul piano di lavoro personalizzato che si dovrebbe realizzare. Succede a volte di imbattersi in docenti privi di specializzazione motivati e disposti a formarsi, ma è del tutto casuale.
Vorrei ora esporre brevemente la nostra esperienza con un alunno non vedente in quanto la stessa non solo ha costituito una grande occasione di crescita umana e sociale per tutta la nostra comunità scolastica, ma ci ha permesso in qualche maniera di “trasformare” alcuni limiti in risorsa attivando tutta una serie di energie. E’ pur vero che alcune risorse sono messe a disposizione dalla normativa, ma nel nostro caso abbiamo abbandonato quell’atteggiamento di delega ai servizi e di attesa e ci siamo messi alla ricerca di tutte le soluzioni possibili per l’inclusione dell’alunno, facendo leva anche su soluzioni dettate dal “buon senso”.
Nella nostra scuola ha frequentato per otto anni (tre di scuola dell’infanzia e cinque di scuola primaria) un alunno non vedente, durante i quali di fondamentale importanza è stata la collaborazione costante con la dott.ssa Beatrice Ferrazzano e con il dott. Michele Corcio della sezione di Foggia dell’U.I.C.I.
In particolare nel corso degli anni sono stati realizzati:
- accordi di rete con le altre scuole con alunni non vedenti e ipovedenti allo scopo di rendere funzionale l’impiego di risorse per la formazione dei docenti e l’organizzazione dei contesti scolastici;
- corsi di formazione specifici per docenti di sostegno sul codice Braille e sulla didattica con strumenti tiflologici;
- collaborazioni con enti e associazioni che si occupano di disabilità;
- coinvolgimento del privato sociale;
- particolare attenzione nei confronti delle famiglie di alunni non vedenti;
- reperimento di risorse finanziare attraverso la sensibilizzazione di sponsor;
- coinvolgimento attivo di tutta la comunità scolastica.
Nel corso degli anni la presenza dell’alunno non vedente, ma anche di altri alunni disabili, ha permesso di “incidere” profondamente sul contesto fisico e non solo.
Quello che mi preme mettere maggiormente in evidenza è che nella nostra realtà si è cercato di trasformare i limiti in risorsa. Ciò ha dato la possibilità a ciascuno di essere protagonista nella direzione della costruzione di una comunità educante che mette al centro dell’azione educativa l’inclusione di tutti e di ciascuno, all’interno della quale tutti si impegnano per prendersi cura di tutti e di ciascuno.
La nostra esperienza ci ha richiamato alla mente un antico proverbio africano “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. La nostra società in continua trasformazione dovrebbe avvalersi di questo monito per divenire più leggera, più a misura d’uomo, a misura di bambino, a misura di tutti e di ciascuno. In fondo non si tratta di un’impresa per “santi ed eroi”, ma esperienza possibile.
In quest’ottica, in presenza di disabilità visive, assume particolare rilevanza soprattutto la collaborazione delle istituzioni scolastiche con l’UICI e ben vengano le proposte di formazione come quella previste nell’ambito della convenzione MIUR-IRIFOR.
Vorrei concludere affermando che occorre guardare con fiducia al futuro auspicando una maggiore sinergia tra tutti coloro che si occupano di disabilità e la definizione di interventi normativi che abbiano carattere sistematico nell’approccio all’inclusione scolastica e sociale.